CHI NON LAVORA NEPPURE MANGI

APRIAMO DISCUSSIONE SUL TEMA DI QUESTA LETTERA INVIATA AI SOCI IL 30 NOVEMBRE 2007

Carissimi/e,
voglio raccontarvi di me parecchi anni fa. Ero studente di filosofia in San Damiano di Assisi ed il mio impegno nella precisione era tanto che giunsi a pormi in modo serio il problema del collegamento fra lavorare e mangiare. Ricordo che molte volte, davanti al piatto del pranzo, restavo incerto ed addirittura angosciato. Il problema era questo: avevo diritto di mangiare non avendo studiato o lavorato a sufficienza in quel giorno? Può sembrare una sciocchezza, ma la cosa per me era seria.
Io certe volte saltavo il pranzo o parte di esso, come potevo senza farmene accorgere.
Ai giovani capita di poltrire e non ne faccio scandalo, ma io distinguevo bene il giorno di vacanza, il momento eccezionale, da quello in cui avrei dovuto compiere il mio dovere. E’ vero, a volte per riparare la pigrizia nello studio, facevo qualche lavoretto a beneficio del gruppo, ma non sempre.
Questo stato d’animo angosciato mi durò un po’ di anni finché la saggezza di un direttore spirituale riequilibrò il mio sentire.
E ora voi vi domanderete perché ho raccontato questo. L’ho fatto perché, riflettendo sul tema della pace nei riguardi di quel che accade spesso nel nostro mondo occidentale, mi son fatto cosciente che tanta conflittualità nasce proprio dalla incapacità di valutare quale sia il legame che ci dovrebbe essere tra lavoro e cose che ti puoi permettere. Soffermiamoci a considerare i tanti figli di papà che pensano prevalentemente o solo al divertimento; a quanti usurpano ricchezza a chi lavora; a quanti confondono il posto di lavoro col posto di stipendio; a quelli che fanno del ricatto, dell’imbroglio o della questua la fonte del loro mantenimento o della loro ricchezza. E se vogliamo, pensiamo anche a coloro che rifiutano un lavoro perché umile; che scelgono un corso di laurea di poco impegno aumentando la folla dei futuri disoccupati… e tante altre di queste cose.
Pensiamo anche a fare noi un esame di coscienza sulla nostra vita.
Tutto questo mi porta a vedere quanto fosse nel giusto san Paolo che esclamava il famoso: chi non lavora neppure mangi! (cfr. II Tess.3,10).
E vedo come il non capire la differenza che passa tra diritti e doveri; tra lavoro e guadagno, possa diventare fonte di conflitto. Mi domando allora come porre un freno a tanta incoscienza e così generare più pace nella società.
A chi ha bisogno è meglio dare il pesce o la canna per pescare?
La pace può nascere anche da qui.