RIFLESSIONE SUL LIBRO CIVILTA’ DI PACE
A proposito di una metodologia di pace
Alcuni incontri che ho tenuto in questi ultimi anni sul tema della pace, basandomi sul libro Civiltà di pace di padre G. Polidoro, mi confortano nel raccomandare la lettura del libro. Che non è solo da leggere, ma da rileggere e meditare tanto sono gli spunti di riflessione per il nostro tempo. Ci sono due punti nel capitolo riguardante “Una proposta di metodologia” che suscitano sempre particolare interesse per la loro rilevanza e concretezza: il primo riguarda la ricerca del positivo nella persona e l’altro il linguaggio di pace. Sono due punti che richiedono attenzione, proprio perché su tali aspetti fortemente legati ad un cammino pace non si riflette abbastanza. Spesso, a causa dei messaggi connotati negativamente a cui siamo costantemente sottoposti, il nostro atteggiamento verso l’altro è compromesso da un pre-giudizio ostile. Invece è un atteggiamento positivo verso l’altro che attesta la nostra fiducia nel valore dell’essere umano e nei principi etici in cui crediamo: in ogni persona, creata a immagine di Dio, c’è qualcosa di positivo, per quanto piccolo questo qualcosa possa essere. Ed è su questa qualità, si insiste nel libro citato, che occorre far leva per allacciare relazioni costruttive e creare positività in mezzo a noi. Tale metodologia del positivo fa la differenza nei rapporti interpersonali e ci chiede quindi di fare buon uso del positivo.
Strettamente legato al valore della positività dell’essere umano è il linguaggio. Giustamente sottolinea padre Polidoro “Uno dei grandi aiuti al cammino della pace è la capacità di non utilizzare più – a livello di linguaggio – termini o paragoni che abbiano relazione con l’odio e con la conflittualità”. Il linguaggio, infatti, crea intorno a noi vicinanza o esclusione, relazioni di amicizia o relazioni di inimicizia, crea pace o divisione. Il linguaggio dei media e la logica mediatica sottesa oggi spingono nella direzione opposta a quella di una costruzione di una civiltà di pace. Chi studia tali fenomeni parla dei più disparati stravolgimenti, di strumentalizzazioni senza ritegno della politica, delle religioni, addirittura di trasformazione della solidarietà in crimine: una logica mediatica che crea continue divisioni e conflittualità. Non si possono quindi negare gli influssi negativi nei comportamenti e nei linguaggi quotidiani delle persone.
Tuttavia, proprio per contrastare tale tendenza, qualcosa di importante nel nostro piccolo possiamo fare con consapevolezza: creare una cultura nuova con il linguaggio. Possiamo usare le parole per avvicinare, capire, consolare, consigliare, chiarire, chiedere, aiutare, difendere, perdonare, amare, dialogare … per creare solidarietà, per costruire una cultura diversa.. Le parole di pace non possono, però, che scaturire da atteggiamenti e da categorie mentali di pace interiorizzati e non possono prescindere dal vedere nell’altro la sua positività. Ecco come atteggiamenti e parole si completano nell’intessere le nostre relazioni un’ottica nuova.
M. Rosina Girotti