COSA SIGNIFICA PACE
Caro Padre Gianmaria,
le tue ispirate considerazioni mi inducono a una riflessione sulle implicazioni per le scelte concrete di politica internazionale che potrebbero in un certo senso concretizzare i principi che ci sottoponi. In particolare se, come tu correttamente affermi, la pace può nascere e io aggiungerei durare e alimentarsi per la capacità di leggere in positivo quanto avviene nella dinamica dei rapporti fra gli uomini e quindi (aggiungerei io) delle relazioni internazionali, questo comporta lo sforzo di comprendere le ragioni dell’altro prima di indignasi per la percepita lesione o mancata considerazione dei propri interessi.
Questo mi porta a richiamare l’attenzione sull’abitudine dei leaders occidentali ad invocare l’interesse nazionale del proprio paese a sostegno delle loro scelte politiche più importanti, avvallando i un’infelice, a mio avviso, dichiarazione del presidente Clinton, che nel 1994 per la prima volta dopo la seconda guerra mondiale invocò l’interesse nazionale in una pubblica dichiarazione a sostegno della pressi di intervento militare nelle zone di crisi più remote. Fino a quel momento i leaders occidentali, pur tenendo presente i propri interessi nazionali nelle loro scelte politiche più importanti non li avevano mai invocati esplicitamente avvallando la priorità dell’interesse comune dell’organizzazione o del gruppo di paesi impegnati della trattativa di volta in volta sul tappeto.
La stessa nascita delle comunità europee fu ispirata dallo stessa posizione politica di fondo, quale condizione e strumento per la creazione di una zona di pace stabile e durevole in Europa. L’inserimento nella nostra tanto bistrattata costituzione della previsione della rinuncia a quote delle nostra sovranità a favore di organismi di cooperazione internazionali intesi a promuovere la pace e la cooperazione fra i popoli era appunto il risultato di questa posizione politica di fondo. L’attuale ricorrente riferimento all’interesse nazionale ci riporta alla politica di potenza teorizzata da Richelieu nella guerra dei trent’anni e attuata dalle cancellerie europee per tutta l’età moderna con le ben note implicazioni di guerre e spartizioni, che caratterizzarono quei secoli. Corriamo il rischio di rivivere questa stessa storia, ma ho l’impressione che l’interesse nazionale sia ormai uno spirito che non sarà facile rimettere nella bottiglia.
Per una pace durevole dovremmo allora riflettere su come rendere più efficace il rimedio adottato da quelle cancellerie alla conflittualità degli interessi nazionali in competizione, rimedio che la dottrina classica individuava nel criterio del balance of power . Un criterio intrinsecamente instabile, come le prove della storia hanno dimostrato con tutti i conflitti e le compensazioni negoziate in quei secoli. Tale criterio va pertanto sostituito o quanto meno integrato con la creazione di una stabilità sostenibile.
Una condizione, questa, della sostenibilità essenziale ai fini della possibilità del mantenimento della pace, che va specificato riprendendo il concetto dell’equilibrio, ma riferendolo appunto agli interessi degli attori del sistema internazionale. Infatti integrando l’equilibrio di potenza con l’equilibrio degli interessi, non vi sarebbe più quella spinta del paese, che si sentisse penalizzato dall’assetto esistente, a cercare un accrescimento della propria potenza e del proprio apparato militare per alterare l’asseto che percepisce come penalizzante per i propri interessi.
Caro Padre Gianmaria, mi auguro che tu trovi queste mie considerazioni, più temporali, comunque coerenti con i principi da te sottopostici.
Con deferente e devoto affetto
AntonGiulio de’Robertis