Vita di San Francesco d’Assisi
QUELLO CHE AVVENNE QUANDO IL GIOVANE FRANCESCO VIVEVA NELLA CASA PATERNA CIOE’ IN QUESTO LUOGO DOVE NEL 1616 E’ STATA EDIFICATA QUESTA CHIESA
La casa dei genitori di Francesco è diventata tempio di Dio, mentre il carcere dove fu rinchiuso dal padre è ancora visibile. Cosi’ è scritto sul portale di ingresso di questa chiesa costruita nel 1616. La tradizione consolidata e mai a quei tempi in Assisi contestata indicava la casa (appartenente all’epoca alla famiglia Bini) come casa dove Francesco era nato e dove aveva vissuto per 24 anni la sua gioventù.Quella casa fu trasformata in chiesa. Di essa rimane la parte bassa e tre portali di ingresso come è possibile vedere nella zona detta “santuario”.
DELLA NASCITA DI FRANCESCO
Francesco fu oriundo di Assisi, nella valle spoletana. Nacque durante un’assenza del padre, e la madre gli mise nome Giovanni; ma, tornato il padre dal suo viaggio in Francia, cominciò a chiamare il figlio con il nome di Francesco. Arrivato alla giovinezza, vivido come era di intelligenza, Francesco prese ad esercitare la professione paterna, il commercio di stoffe, ma con stile completamente diverso. Francesco era allegro e generoso e gli piaceva gioie e cantare lungo le vie della sua città con una brigata di amici, spendendo molto in divertimenti e feste. Spesso i genitori lo rimproveravano per il suo sfarzo, quasi fosse figlio di un gran principe anziché figlio di commerciante. Ma siccome in casa erano ricchi e lo amavano teneramente, lasciavano correre non volendo rattristarlo per le sue ragazzate. La madre, quando sentiva i vicini parlare della prodigalità del giovane, rispondeva: “Che ne pensate del mio ragazzo? Sarà un figlio di Dio per sua grazia”.
(da Leggenda dei tre Compagni I,2 – vedi Fonti Francescane 1395-1396)
IL GIOVANE FRANCESCO ED IL POVERO
Un giorno Francesco stava nel suo negozio (1), tutto intento a vendere le stoffe. Si fece avanti un povero a chiedergli l’elemosina per amore di Dio. Preso dalla cupidigia del guadagno e dalla preoccupazione di concludere l’affare, egli ricusò l’elemosina al mendicante, che se ne uscì. Subito però, come folgorato dalla grazia divina, Francesco rinfacciò a se stesso quel gesto villano, pensando: “ Se quel povero ti avesse domandato un aiuto a nome di un grande conte o barone, lo avresti di sicuro accontentato. A maggior ragione avresti dovuto farlo per riguardo al re dei re e al Signore di tutti”. Dopo questa esperienza, prese risoluzione in cuor suo di non negare mai più nulla di quanto gli venisse domandato in nome di un Signore così grande.
(Dalla Leggenda dei tre Compagni cap. I – vedi Fonti Francescane 1397)
(1) il negozio può essere riconosciuto nel luogo ora chiamato fondaco visibile scendendo le scale del santuario.
IL SOGNO DI DIVENTAR CAVALIERE
Una notte, mentre dormiva nel suo letto (La tradizione ci ha tramandato che la stanza di Francesco fosse dove ora è l’altare maggiore di questa chiesa su cui è possibile vedere una tela che racconta l’avvenimento), apparve a Francesco un personaggio il quale, chiamatolo per nome, lo guidò in un palazzo di straordinaria magnificenza e bellezza, pieno di armi e con splendenti scudi crociati appesi alle pareti da ogni parte. Egli interrogava l’accompagnatore per sapere di chi fossero quelle armature così rifulgenti e quel palazzo così ameno. “Ogni cosa, palazzo compreso – rispose la guida -, è tua e dei tuoi cavalieri”. Destatosi andava interpretando il sogno in chiave mondana e immaginava che sarebbe diventato un principe magnifico. E pensandoci su, deliberò di farsi cavaliere, per ottenere tale principato. Dispose quindi di unirsi al conte Gentile (Gentile conte di Manoppello) che partiva per la Puglia, onde essere creato da lui cavaliere. A tal fine preparò un corredo di vesti preziose. Diventato per questo più allegro del solito, meravigliava tutti. A chi gli domandava la causa di questa improvvisa felicità, rispondeva: “So che diventerò un gran principe”. E, assunto uno scudiero, salì a cavallo, dirigendosi alla volta della Puglia. Giunto a Spoleto, a notte fatta si stese per dormire. Nel dormiveglia udì una voce che gli chiedeva dove stesse andando. Lui rivelò il suo progetto. E la voce: “Chi può meglio trattarti: il Signore o il servo?”. Rispose: “Il Signore”. Replicò la voce: “ E allora perché abbandoni il Signore per il servo; il Principe per il dipendente?”. Francesco rispose: “Signore che vuoi che io faccia?”. Disse: “Ritorna nella tua città, per fare quello che il Signore ti rivelerà.
(Da Anonimo Perugino, I 5-6 – vedi Fonti Francescane 1491 – 1492)
GUERRA CONTRO PERUGIA E PRIGIONIA
Tra Perugina ed Assisi si erano riaccese le ostilità durante le quali (1202, battaglia di Collestrada) Francesco fu catturato con molti suoi concittadini e condotto prigioniero a Perugina. Essendo egli di maniere signorili, lo chiusero in carcere insieme ai nobili. Una volta, mentre i compagni di prigionia si abbandonavano all’avvilimento, lui, ottimista e gioviale per natura, invece di lamentarsi, si mostrava allegro. Uno dei compagni allora gli disse che era matto a fare l’allegrone in carcere. Francesco ribatté con voce vibrata: “Secondo voi, che cosa diventerò io nella vita? Sappiate che sarò venerato in tutto il mondo”. Un cavaliere del suo gruppo fece ingiuria ad uno dei compagni di prigionia; per questo gli altri lo isolarono. Soltanto Francesco continuò ad essergli amico, esortando tutti a fare altrettanto. Dopo un anno, tra Perugina ed Assisi fu conclusa la pace, e Francesco rimpatriò insieme ai compagni di prigionia.
(Da Leggenda dei tre Compagni II,4 – vedi Fonti Francescane1398)
E’ INCARCERATO DAL PADRE
(Francesco ormai ha compreso che Dio lo chiama ad una vita tutta consacrata a Lui. Per questo egli si dà alla penitenza ed il popolo di Assisi lo deride. Il padre Pietro di Bernardone, non tollera che il figlio venga deriso e, non riuscendo a convincerlo con i ragionamenti, usa le maniere forti). Inaccessibile ad ogni senso di pietà, lo tenne prigioniero per più giorni in un ambiente oscuro, (nella chiesa puoi vedere questo carcere che la tradizione ci ha conservato) cercando di piegarlo alla sua volontà, prima con le parole, poi con percosse e catene. (Dopo un po’ di giorni) affari urgenti costrinsero il padre ad assentarsi da casa per un po’ di tempo lasciando il figlio legato nello sgabuzzino trasformato in carcere. Allora la madre (Madonna Pica), essendo rimasta sola con lui, disapprovando il metodo del marito, parlò al figlio con tenerezza; ma si accorse che niente poteva dissuaderlo dalla sua scelta. L’amore materno fu più forte di lei stessa ed allora sciolse i legami ridando a Francesco la libertà.
(Da Vita prima di Tommaso da Celano, nn.12-13 – vedi Fonti Francescane 339-341)
L’INNAMORAMENTO
Una sera gli amici elessero Francesco come loro signore perché organizzasse un trattenimento a suo piacere. Francesco fece allestire, come tante altre volte, una cena sontuosa. Terminato il banchetto, uscirono di casa. Gli amici camminavano avanti; lui, tenendo in mano una specie di scettro, veniva per ultimo, ma invece di cantare era assorto nelle sue riflessioni. D’improvviso il Signore lo visitò e gli riempì il cuore di tanta dolcezza che Francesco non poteva muoversi o parlare, non percependo altro se non quella soavità che lo estraniava da ogni sensazione, così che (come poi ebbe a confidare lui stesso) non avrebbe potuto muoversi da quel posto anche se lo avessero fatto a pezzi. Gli amici, voltandosi e scorgendolo rimasto così lontano, tornarono indietro e rimasero trasecolati nel vederlo così mutato da sembrare un altro uomo. Lo interrogarono: “A cosa stavi pensando, che non ci hai seguiti? Pensavi forse di prendere moglie?”. Francesco rispose con slancio: “E’ vero. Stavo sognando di prendermi in sposa la ragazza più nobile, ricca e bella che mai abbiate visto”. I compagni si misero a ridere. Francesco disse questo non di sua iniziativa, ma ispirato da Dio.
(Da Leggenda dei tre Compagni , III, 7 – vedi Fonti Francescane1402)
DAVANTI AL VESCOVO RINUNCIA ANCHE AI VESTITI
Pietro di Bernardone (non riuscendo a far cambiare vita al figlio) andò al palazzo del Comune a protestare contro il figlio davanti ai Consoli, chiedendo il loro intervento per obbligare Francesco a restituire il denaro preso in casa (per riparare la chiesa di San Damiano). I Consoli, per mezzo di un araldo, inviarono al giovane un mandato di comparizione. Ma lui rispose all’araldo di essere libero, per grazia di Dio, e di non essere più sotto la giurisdizione dei Consoli, dal momento che si era consacrato a Dio. I Consoli, non volendo ricorrere alla violenza, dissero a Pietro: “Dato che tuo figlio si è consacrato al servizio di Dio, non è più sotto la nostra giurisdizione”. Costatando che il suo ricorso ai Consoli era fallito, Pietro andò a sporgere querela davanti al Vescovo della città. Questi, da persona discreta e saggia, chiamò Francesco coi modi dovuti, perché venisse a rispondere alla querela del padre. Il giovane rispose al messaggero: “Da messer Vescovo ci vengo, poiché egli è padre e signore delle anime”. Venne dunque al vescovado (il luogo era ed è poco distante dalla casa di Francesco, in piazza del vescovado) e fu ricevuto dal pastore con grande gioia. Il Vescovo gli disse: “Tuo padre è arrabbiato con te e molto alterato per causa tua. Se vuoi essere servo di Dio, restituiscigli i soldi che hai; oltretutto è ricchezza forse di malo acquisto, e Dio non vuole che tu spenda a beneficio della Chiesa i guadagni del padre tuo. La sua collera sbollirà, se recupera il denaro. Abbi fiducia nel Signore, figlio mio, e agisci con coraggio. Non temere perché l’Altissimo sarà tuo soccorritore e ti darà in abbondanza quanto sarà necessario per la sua Chiesa. L’uomo di Dio si alzò, lieto e confortato dalle parole del Vescovo, e traendo fuori i soldi, disse: “Messere, non soltanto il denaro ricavato vendendo la sua roba, ma gli restituirò di tutto cuore anche i vestiti”. Quindi entrò in una camera, si spogliò completamente, depose sui vestiti il denaro e, uscendo nudo alla presenza del Vescovo, del padre e degli astanti, disse: “Ascoltate tutti e cercate di capirmi. Finora ho chiamato Pietro di Bernardone padre mio. Ma dal momento che ho deciso di servire Dio, gli rendo il denaro che tanto lo tormenta e tutti gli indumenti avuti da lui. D’ora in poi voglio dire Padre nostro che sei nei cieli, non più Padre mio Pietro di Bernardone. I presenti videro che l’uomo di Dio portava sulla carne, sotto gli abiti colorati, un cilicio. Il Vescovo, considerando attentamente l’uomo santo e ammirando tanto slancio e intrepidezza, aprì le braccia e lo coprì con il suo mantello. Aveva capito chiaramente che egli agiva per ispirazione divina e che l’accaduto conteneva un presagio misterioso. Da quel giorno diventò suo protettore. Lo esortava, lo incitava, lo dirigeva e amava con affetto grande.
(Da Leggenda dei tre Compagni VI, 19-20 – vedi Fonti Francescane 1419)
VA A ROMA PER VENERARE LA TOMBA DI PIETRO
Francesco si recò a Roma in pellegrinaggio. Entrato nella Basilica di San Pietro, notò l’avarizia di alcuni che offrivano il loro obolo, e disse fra se: “Il principe degli Apostoli deve essere onorato con splendidezza, mentre questi avari non lasciano che offerte minime in questa basilica dove riposa il suo corpo”. E in uno scatto di fervore, mise mano alla borsa, la estrasse piena di monete di argento che, gettate oltre la grata dell’altare, fecero un tintinnio così vivace, da rendere attoniti tutti gli astanti nel vedere tanta generosità. Uscito, si fermò davanti alle porte della basilica dove stavano molti poveri a mendicare e scambiò di nascosto i suoi vestiti con quelli di un accattone. Quindi andò sulla gradinata in mezzo agli altri mendichi e si mise a chiedere l’elemosina in lingua francese. Infatti parlava molto volentieri quella lingua, sebbene non la possedesse appieno. Si tolse poi quei panni miserabili, indossò i propri e tornò in Assisi.
(Da Leggenda dei tre Compagni III,10 – vedi Fonti Francescane 1406)
AMORE PER I POVERI
In assenza del padre, quando Francesco rimaneva in casa, anche se prendeva i pasti solo con la madre, riempiva la mensa di pani, come se apparecchiasse per tutta la famiglia. La madre lo interrogava, perché mai ammucchiasse tutti quei pani, e lui rispondeva che era per fare elemosina ai poveri, poiché aveva deciso di dare aiuto a chiunque chiedesse per amore di Dio. E la madre che lo amava con tenerezza più degli altri figli, non si intrometteva, pur interessandosi a quanto egli faceva e provandone stupore in cuor suo.
(Da Leggenda dei tre Compagni III,9 – vedi Fonti Francescane 1404)
IL CROCIFISSO DI SAN DAMIANO
Un giorno Francesco era uscito nella campagna per meditare. Trovandosi a passare vicino alla chiesa di San Damiano, che minacciava rovina, vecchia com’era, spinto dall’impulso dello Spirito Santo, vi entrò per pregare. Inginocchiato davanti all’immagine del Crocifisso, udì una voce dalla croce e dirgli per tre volte: “Francesco, va e ripara la mia chiesa che, come vedi, è tutta in rovina!”. All’udire quella voce Francesco rimase stupito e tutto tremante si accinge ad obbedire. Si alzò pertanto munendosi del segno della croce e, prese con sé delle stoffe, si affrettò verso la città di Foligno per venderle. Vendette tutto quanto aveva portato ed anche il cavallo. Tornato in Assisi entrò devotamente nella chiesa di San Damiano. Vi trovò un sacerdote poverello e, dopo avergli fatta debita riverenza, gli offrì il denaro per la riparazione della chiesa e umilmente domandò che gli permettesse di abitare con lui per qualche tempo. Il sacerdote acconsentì che egli restasse; ma, per timore dei suoi genitori, non accettò il denaro. Francesco allora gettò la borsa del denaro su una finestra.
(Da Leggenda Maggiore di S. Bonaventura II,1 – vedi Fonti Francescane 1038-1039)
L’INCONTRO CON IL LEBBROSO
Mentre un giorno cavalcava nei paraggi di Assisi, Francesco incontrò sulla strada un lebbroso. Di questi infelici egli provava un invincibile ribrezzo; ma stavolta, facendo violenza al proprio istinto, smontò da cavallo e offrì al lebbroso un denaro, baciandogli la mano e ricevendone un bacio di pace. Poi risalì a cavallo e seguitò il suo cammino. Da quel giorno cominciò a svincolarsi dal proprio egoismo fino al punto di sapersi vincere perfettamente con l’aiuto di Dio. Trascorsi pochi giorni, prese con sé molto denaro e si recò all’ospizio dei lebbrosi; li riunì e distribuì a ciascuno l’elemosina, baciandogli la mano. Nel ritorno a casa, il contatto che prima gli riusciva repellente, gli si trasformò veramente in dolcezza.
(Da Leggenda dei tre Compagni IV,11 – vedi Fonti Francescane 1407-1408)