UNA RIFLESSIONE E PROPOSTA DAL RITIRO DI PESCARA DEL 6 AGOSTO 2011

Espressioni che ostacolano la costruzione di una “Civiltà di pace”

Alcuni passaggi del volume “Civiltà di pace” di P. GianMaria sottolineano l’importanza dell’educazione al positivo: «la mediazione avviene tra due positività, altrimenti non ha senso … dobbiamo imparare a cogliere le due sponde positive che esistono in ogni essere umano e in ogni realtà». «Porre in evidenza il positivo vuol dire saper trovare ogni briciola di positivo e, indipendentemente dalla sua quantità, operare per farlo crescere. Anche se vi fosse solo una piccolissima parte di realtà positiva o che riteniamo positiva, l’uomo pacifico la scopre, la prende e lavora su di essa fino a far lievitare tutta la massa».
Da queste considerazione mi sono chiesto quante frasi, espressioni o modi di pensare che comunemente ricorrono nel nostro vivere quotidiano sono contrarie ad una “Civiltà di pace”. Talora usiamo parole con superficialità o leggerezza, senza riflettere su quanto possono ostacolare o compromettere i rapporti tra le persone. Il più delle volte si tratta di frasi apparentemente innoque ma che in realtà esprimono forte pessimismo, ostilità e avversione verso gli altri, sfiducia verso il prossimo oppure, anziché valorizzare quanto di buono c’è nell’altro, enfatizzano i difetti, precludendo le porte al dialogo e all’incontro costruttivo.
Ho voluto fare un esperimento, annotando alcune di queste espressioni affinché ognuno di noi, nel momento in cui le pronuncia o semplicemente le pensa, possa riflettere sulla loro portata negativa e tentare, magari, di cancellarle definitivamente dal proprio vocabolario o, meglio, dal proprio bagaglio culturale. E’ solo un primo tentativo, ben vengano, ovviamente, altri suggerimenti.

1) Sei un poco di buono, sei un buono a nulla.
2) Quella persona non mi piace per niente.
3) Non capisci niente.
4) Hai sbagliato tutto nella vita.
5) Quella è una persona vuota e insignificante.
Sono espressioni che cancellano, quasi con un colpo di spugna, ogni benché minima positività che ci può essere nell’altro. Possibile che chi ci sta di fronte non capisca proprio nulla? Che non abbia nulla di buono da trasmettere? Ma proprio nulla? Vuoto assoluto? Possibile che nella vita non ne abbia indovinata almeno una? Ma una sola? Impossibile. In ogni individuo c’è sempre qualcosa di positivo che occorre saper individuare, riconoscere e valorizzare. Anche questa è una sfida importante per chi intende costruire una “Civiltà di pace”.

6) Quella persona non l’ho mai capita.
7) La penso in maniera diametralmente opposta da te.
8) Parli sempre a sproposito.
9) Questo qui non lo sopporto per niente.
Anche qui tornato parole che segnano l’assoluto come “sempre”, “mai”, “niente”. Ma esiste davvero qualcuno che parla “sempre” a sproposito? Qualcosa di giusto dirà pure ogni tanto! Un costruttore di pace è colui che sarà in grado di cogliere quella cosa giusta e di valorizzarla.

10) “A naso” quella persona non mi piace.
11) “A pelle” quello mi sta già antipatico.
Sono frasi che esprimono “pregiudizio”, nel senso più vero del termine, ossia giudicano la persona che incontriamo sulla base della prima apparenza, senza tentare una conoscenza più profonda. In questo siamo spinti, probabilmente, anche dalla società frenetica nella quale viviamo. Abbiamo bisogno di giungere subito a delle conclusioni, non c’è tempo per analisi approfondite, per riflettere e capire l’altro, occorre fidarsi dell’istinto e dare subito un giudizio “pur che sia”. In realtà, si tratta di un atteggiamento molto negativo in quanto crea immediatamente un primo ostacolo all’incontro, rischia di compromettere il rapporto con l’altro sin dai primi momenti e a volte in maniera irreversibile. Infatti, anche quando ci si volesse, successivamente, aprire al confronto, ognuno di noi sarà tendenzialmente portato a scovare quegli elementi negativi utili a confermare la previsione iniziale e poter dire con orgoglio: “l’avevo detto sin dall’inizio che quella persona non mi piaceva”. Tutto questo avviene il più delle volte in maniera inconsapevole. Bisogna imparare a riconoscere tali atteggiamenti ed essere pronti ad accettare la sfida, per quanto difficile e faticosa: superare quelle prime sensazioni che “a naso” ci allontanano dagli altri e lavorare per conoscere in profondità le persone.

12) Quella persona è meglio perderla che trovarla.
Questa è la frase che quasi ricomprende tutte le altre, perché chiude il cerchio del ragionamento negativo che così può essere sintetizzato: nell’altro prevale il male (mentre in noi prevarrebbe il bene!) e occorre allontanarlo. Non è possibile. In ognuno di noi ci sono aspetti positivi e negativi e il bilancio non può condurre a cancellare sia gli uni che gli altri con sentenze nette e inappellabili che ci allontanano, altrimenti ognuno restarà solo o in perenne contrapposizione all’altro. Chi persegue una cultura di pace deve tentare di far “quadrare il bilancio”, evitando che i conti finiscano “in perdita”, ossia deve far sì che il “buono” che c’è nell’altro valga più del “cattivo” e lo superi, se non in quantità, almeno in valore. Così che “trovare” una persona, con tutti i suoi pregi, i suoi limiti e i suoi errori, sia sempre meglio che perderla. In fondo, è proprio ciò che tentava di spiegare il padre del figliol prodigo, in una delle più belle parabole del Vangelo.

Marcello Salerno