Soluzione dei Conflitti
PRIMA PARTE
1] Non possiamo parlare di conflitti e della loro soluzione senza inserire tale argomento nel quadro più ampio della pace che è argomento fondamentale per la società.
Tuttavia voler trattare di pace in modo completo, è lavoro di presunzione prima ancora che lavoro difficile. Infatti non possiamo parlare di pace in modo generico come abitualmente si fa ai nostri giorni, ma dobbiamo procedere con una analisi di cosa essa sia e di come sia possibile portarla nella nostra società. E delle sue conseguenze più immediate quali sono la risoluzione dei conflitti e l’abolizione dell’inimicizia.
E questo è lavoro lungo.
2] Mi spiego meglio: io potrei parlare ora di pace sulla scia di quanti l’intendono moralisticamente come sogno bello, ma quasi impossibile da raggiungere. La pace infatti molto spesso viene vista come una realtà futura che poggia su sentimenti di bontà conservati da ciascuno nel proprio cuore, ma che si scioglie come neve al sole non appena questa nostra bontà di fondo viene messa in discussione da interessi economici o da difficoltà di rapporti interumani.
E’ questa la sorte di tutte le nostre scelte fondate su belli e buoni sentimenti, ma non radicate sulla roccia dei convincimenti e dei valori assunti intellettualmente e vissuti nella pratica quotidiana e trasferiti nella cultura dei popoli.
3] Io penso che la pace, per essere intesa seriamente, abbia bisogno di diventare cultura di pace e civiltà di pace. Questo è un compito talmente grande da superare le capacità di una singola persona. Per questo motivo intendo solo suggerire alcune riflessioni e valutazioni ed offrire una metodologia che possano essere di stimolo a quanti mi ascoltano. E’ anche un invito a studiare e a lavorare per costruire concretamente una civiltà che possa essere chiamata civiltà di pace dove includere un pratico discorso sulla soluzione dei conflitti.
4] Ed allora, cosa è una civiltà? Dobbiamo saperlo se vogliamo poi parlare di civiltà di pace.
Se domandate a voi stessi cosa sia una civiltà, vi accorgerete che la risposta non è facile né semplice. E’ vero che noi siamo capaci di parlare di nostra civiltà, di civiltà evoluta, di civiltà occidentale, di civiltà islamica, di civiltàindigena, di civiltà cristiana, di civiltà africana o asiatica e così via. Ma specificare in che cosa consista una civiltà; quali siano gli strumenti, i concetti, i valori per costruirla resta complicato. Tentiamo di dire qualcosa a proposito.
5] Io chiamo civiltà quel tessuto di relazioni interumane (ed anche di relazioni con ogni altro essere animale o vegetale o minerale che sia) che comunemente si vivono all’interno di una data società.
Pertanto, e ciò valga come esempio, noi possiamo chiamare civiltà cristiana, quella tipologia di rapporti umani che vengono vissuti in una società che ha come base una umanità redenta, ad esempio una società che ha come quadro di riferimento i valori delle beatitudini: valori umani portati a pienezza nel cristianesimo, in Cristo.
Una civiltà cristiana, infatti, deve almeno far riferimento al rispetto per ogni vita; alla dignità dell’essere umano fin dal suo concepimento; al diritto di ogni persona di godere un minimo vitale dei beni materiali; alla valorizzazione della spiritualità; alla libertà di coscienza, di educazione etc. Ed inoltre deve avere, maturare la disposizione evangelica a cogliere ciò che è positivo in ogni realtà.
Parlare di civiltà di pace comporta quindi una cultura della positività della persona umana, per cui la società si struttura facendo leva sulle qualità positive dell’uomo e non su quelle negative. Questa notazione io la reputo molto importante.
6] A volte, è vero, ci capita anche di confondere il concetto di civiltà con quello di progresso. Quando noi diciamo civile un popolo ricco che ha molti mezzi economici e tecnologia avanzata; e chiamiamo popolo incivile un popolo povero e senza tecnologie avanzate, noi confondiamo la civiltà con il progresso materiale. Inoltre ci capita spesso di pensare che i “valori” di un popolo ricco siano di maggior peso di quelli di un popolo povero; e ciò accade quando ci troviamo (ad esempio) di fronte ad un popolo ricco che ammette eutanasia ed aborto, indicando come non civile un popolo povero, ma con valori di grande rispetto per la vita umana.
Quindi affermiamo con chiarezza: ogni popolo ha una sua civiltà, cioè un suo mondo di valori su cui fonda i rapporti sociali e i suoi rapporti con il mondo non umano. (Infatti io, quando parlo di “ecologia” la chiamo “pace con il creato” essendo essa una dimensione della civiltà umana e non un atto di apprezzamento delle cose).
Adesso possiamo fare un passo avanti e dire che una civiltà di pace esisterà quando alla base dei rapporti fra le persone, i popoli e le nazioni e alla base dei rapporti con tutto il mondo non umano, vi saranno valori di pace. Cioè valori che nascono dalla pace e conducono alla pace.
II PARTE
1] Dobbiamo capir bene cosa noi intendiamo quando diciamo la parola pace.
Se considero la pace soltanto come un sapere intellettuale, essa non sarà mai un elemento di forza nella mia vita. Se considero la pace soltanto come periodo di tempo senza guerre dichiarate, ugualmente essa non sarà una chiave per risolvere i conflitti dell’umanità.
Se invece la pace è intesa come una situazione stabile di rapporti al positivo tra le genti ed i popoli, allora il discorso si fa interessante ed intelligente e mi coinvolge fino in fondo sì da impegnarmi pienamente…
COME PARLARE DI PACE
2] Noi abbiamo la fortuna di poter utilizzare il nostro discorso religioso giudaico-cristiano per parlare di pace e capirla nell’economia della salvezza. Il termine pace (= Shalom), nel campo degli scritti sacri ebraici e cristiani, racchiude un complesso di beni che noi possiamo esprimere con positività, salute, sanità, incolumità, prosperità, salvezza, benevolenza, gioia, serenità, sicurezza, beatitudine, riconciliazione.
In pratica è pace lo stato dell’essere umano quale era nel paradiso terrestre.
3] Usando il nostro linguaggio religioso noi affermiamo che la pace è la condizione iniziale dell’essere umano ed il frutto della creazione. Possiamo dire: “In principio era la pace”. E ciò a differenza di chi afferma “In principio era la guerra”.
Ma spieghiamoci meglio perché chi non è religioso o non è cristiano possa accogliere quel che noi diciamo con il nostro linguaggio religioso.
4] Allora quando dico che la pace è la situazione umana come uscita dalle mani di Dio, voglio solo affermare che la lettura biblica dell’uomo e della donna appena creati corrisponde a quel che io intendo per pace.
La Bibbia, quando parla della creazione afferma: “Dio vide quanto aveva creato, ed ecco, era cosa molto buona”(Gen. 1,31). Cioè pienamente conforme alla sua volontà creatrice. Tutto era armonico nel disegno di Dio.
La pace dunque è il ritorno alla visione del mondo come era agli inizi.
La pace sta nel vedere ogni essere, umano o non umano, come portatore di tanta positività da permetterci di intrattenere relazioni interumane ed intercreaturali al positivo. Senza conflitti.
5] Il peccato di origine di cui ci parla la Bibbia e che descrive la situazione attuale e conflittuale dell’umanità, è destinato ad essere superato dal Messia. La situazione di inimicizia e conflittualità che noi vediamo nel mondo, non è una situazione destinata a restare l’unica realtà possibile. Essa può essere superata.
Il profeta Isaia, sognando il mondo futuro, quello cioè restaurato dal Messia, dice cose che dovrebbero farci meditare e farci anche capire cosa sia veramente la redenzione operata da Cristo:
il lupo dimorerà insieme all’agnello,
la pantera si sdraierà accanto al capretto;
il vitello e il leoncello pascoleranno insieme
e un fanciullo li guiderà.
La vacca e l’orsa pascoleranno insieme;
si sdraieranno insieme i loro piccoli.
Il leone si ciberà di paglia, come il bue.
Il lattante si trastullerà sulla buca dell’aspide;
il bambino metterà la mano nel covo di serpenti velenosi.
Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno
In tutto il mio santo monte,
perché la saggezza del Signore
riempirà il paese
come le acque ricoprono il mare.
(Is. 11, 6-9)
6] Attenzione a non fare di questo brano solo un bellissimo sogno pieno di poesia. Essa è’ una realtà che viene annunciata con linguaggio religioso e poetico, ma una realtà che noi stiamo già vivendo attualmente se sappiamo vedere il Regno di Dio che già “è in mezzo a noi”(cfr. Lc. 17,21) (cioè il futuro che a mano a mano diventa realtà) e cresce come il granello di senape (Mc. 4,31)
Non mi dilungo a sottolineare che come cristiano ho la responsabilità di accogliere la pace come dono dello Spirito, di trafficare la pace come un talento, nella misura in cui sono alla sequela di Cristo, Principe della pace.
LA CRESCITA DEL POSITIVO
7] Non attardiamoci a vedere e considerare solo il male che riscontriamo nel nostro mondo familiare, locale, nazionale e internazionale.
Non vedete voi quante cose buone stanno nascendo nel mondo? Avete mai pensato a quante realtà positive le donne possono ancora recare alla nostra società?
Ebbene noi vediamo ed annunciamo la soluzione dei conflitti in questo quadro d’insieme che è punto di riferimento verso cui si cammina. Da una società e da una civiltà dei conflitti noi possiamo camminare verso una società e civiltà di pace dove troviamo la soluzione dei conflitti o meglio, la non esistenza dei conflitti.
Come accade questo?
8] Io, come più sopra ho detto, penso che la soluzione dei conflitti sia da vedere all’interno di una civiltà di pace. Non dimentichiamo che, nel nostro convincimento, la pace è la somma di tutte le qualità positive che l’essere umano ha ricevuto nella creazione e che ha riguadagnato con la redenzione operata da Cristo. Noi cioè affermiamo che la redenzione ha veramente cambiato la nostra realtà restituendoci quei doni che avevamo prima del peccato e che verranno alla luce a mano a mano che noi, come dice san Paolo, “completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo” (Col. 1,24) cioè aggiungiamo alla passione di Cristo quel che manca, (cioè, la nostra condivisione nella sofferenza per condividere la resurrezione).
In pratica intendiamo far riferimento a tutto il lavoro faticoso spirituale e materiale che viene portato avanti per migliorare la società. Pensiamo alle sofferenze degli operatori di pace, dei missionari, dei sanitari, degli operai ed intellettuali etc. che mettono a disposizione della crescita dell’umanità le proprie risorse e, spesso, anche la propria vita.
Questo noi lo affermiamo con linguaggio religioso e cerchiamo di trasferirlo a mentalità che forse non sono religiose. Perciò facciamo un discorso forse più comprensibile anche a coloro che non hanno riferimenti cristiani o religiosi.
III PARTE
1] Se analizziamo la storia umana ed in particolare la cronaca di quanto stiamo vivendo oggi, magari a cominciare dall’attentato alle torri gemelle, fino agli ultimi atti di guerra e di soprusi; e se guardiamo il comportamento degli operatori economici grandi o piccoli che siano, ci rendiamo conto come la tipologia delle nostre relazioni umane è basata in grandissima quantità, sul metodo della lotta e del conflitto e spesso della ruberia.
Di conseguenza, noi comunemente pensiamo di risolvere i problemi nostri e della società col metodo del conflitto che premia il più forte o il più violento. Sembra che questo metodo ci soddisfi; ed allora quando parliamo di risolvere i conflitti in atto, noi pensiamo a strategie in conformità ai conflitti.
IL VALORE PARZIALE DELLE STRATEGIE
2] Pensiamo cioè alla diplomazia (che lavora per appianare i contrasti); pensiamo alla forza (che fa tacere le ribellioni ed impone comportamenti di sottomissione); pensiamo a governi sopranazionali come l’ONU (che tenta di operare da moderatore pur rimanendo spesso succube dei poteri più forti); e pensiamo a tante strade adatte a spianare, almeno un poco, i contrasti: come i convegni, gli incontri, gli aiuti economici e spirituali etc. etc.
Ma credete voi che la soluzione dei conflitti sia in una o in tutte queste strategie? (Naturalmente qui parliamo di soluzioni definitive e non di soluzioni temporanee).
3] O non dobbiamo noi cercare un’altra strada quale è quella che non faccia sorgere i conflitti; invece di una metodologia che cerca solo di appianarli?
Certamente le strategie che tendono ad appianare ed anche superare temporaneamente i conflitti sono una buona cosa e possono aiutare un equilibrio nel mondo, sia a livello personale che internazionale. Ma pensate voi che questa sia la strada definitiva della soluzione dei conflitti? Quella di cui noi cristiani siamo profeti?
Certamente, ripeto, può essere una strada per comporre tregue e dare una soluzione temporanea ai conflitti. Ma non molto di più.
Quello di cui si ha bisogno, invece, è una soluzione in sintonia con quel che intendiamo per pace e che derivi dalla pace.
Una pace che, come afferma la Gaudium et Spes, non è raggiunta, ma è in cammino.
E’ nostro intendimento, è intendimento del WUCWO cercare la possibilità di evitare i conflitti, invece di cercare la soluzione dei conflitti.
UNA METODOLOGIA
4] Come si evitano i conflitti? C’è una metodologia per evitare i conflitti?
Sì, esiste una metodologia.
Quando noi cominciamo a pensare i rapporti umani in termini di positività e collaborazione, invece che in termini di conflittualità. Quando impariamo cosa sia la nonviolenza. Quando cancelliamo dalla nostra mente il termine nemico. Quando perdiamo l’interesse allo sfruttamento delle persone e della natura. Quando evitiamo di usare il linguaggio guerresco nei nostri rapporti.
Ma in un mondo, quale è il nostro, ciò è possibile oppure è soltanto una utopia?
5] Vedete, se torniamo indietro a rileggere la storia umana, noi troviamo lunghi secoli in cui si era convinti che solo la guerra potesse risolvere i conflitti. Tuttavia incontriamo, raramente purtroppo, anche periodi in cui i popoli hanno creduto che la pace fosse possibile. Ebbene, uno dei periodi storici in cui è molto diffuso il convincimento della possibilità e convenienza della pace, è il periodo storico che stiamo vivendo noi ora. Dopo la seconda guerra mondiale si fa sempre più strada il convincimento che la pace sia possibile e che sia, addirittura, l’unica via per la convivenza dei popoli.
Noi siamo chiamati metterci tra questa gente che crede nella pace e nella possibilità di superare una società conflittuale per creare una società di collaborazione e di solidarietà.
6] Per fare questo, impariamo a considerarci reciprocamente al positivo.
C’è da attivare in noi una rivoluzione culturale. Imparare a vedere l’altro e le cose nella loro dimensione positiva.
Guardiamoci in faccia adesso: io valuto positivamente chi mi sta a fianco? Cerco io di avvicinarmi alla vicina, al vicino, con valutazione positiva? Questo sarebbe una pratica rivoluzione culturale.
Naturalmente per una simile rivoluzione culturale c’è bisogno di un esercizio costante di pulizia della nostra mente abituata a considerare il negativo. Non pensate che ciò sia facile, ma, credetelo, è possibile. Io ne faccio esperienza quotidiana. Noi siamo gli annunciatori e le annunciatrici di questa realtà, siamo i profeti di questa possibilità.
Se lo vogliamo.
7] Si inizia con un cambiamento di mentalità.
Io indico abitualmente ai docenti di vivere una esperienza; quella di sottoporre a ciascun alunno/a l’elenco dei compagni e compagne di classe e chiedendo di scrivere a fianco di ogni nome le qualità positive riscontrate. In un primo momento la classe rimane sorpresa ed incerta. Non siamo infatti abituati a vederci al positivo. Ma poi accade sempre di scoprire i lati positivi. Tanti lati positivi da riempire gli spazi.
Accade; è accaduto, che dopo questa esperienza l’intera classe è cambiata. Si è instaurato un sistema di relazioni al positivo. E’ l’esempio di una possibile civiltà al positivo. Di pace.
8] Da una difficoltà iniziale si passa ad una pratica sempre più facile.
Poiché la visione positiva della realtà è all’origine della nostra esistenza, non faremo fatica ad accorgerci che l’insistenza sul positivo avrà buon successo.
Quando parliamo di dialogo, di incontro, di trattativa non facciamo altro che avviare un cammino di positività. Noi cioè tentiamo di vedere il positivo nell’altro per costruirvi sopra l’incontro. Questa strada può sembrare ed è faticosa perché attualmente non è nostra abitudine considerare il positivo. Ma una volta che ne avremo presa l’abitudine, ne vedremo diminuire la fatica.
9] Ed io indico questa strategia come tipica del nostro movimento di pace. Addirittura prego ciascuno/a di dichiararsi a favore di questa strategia. Infatti ognuno/a di noi che vive una simile concezione della pace, ha qualcosa di importante da dire al mondo; e se non parleremo corriamo il rischio di non fare il nostro dovere nella società.
E’ nostra ambizione entrare nel mondo per cambiarne la mentalità conflittuale. Noi siamo gente che ha la possibilità di modificare il comportamento umano. Se non avessimo questa ambizione e desiderio, a poco servirebbe adunarsi e magari soltanto parlare di una proposta nuova.
PER CONCLUDERE
UN LAVORO DA COMPIERE
1] L’affermazione della inutilità della guerra per risolvere i problemi, dovrebbe diventare caratteristica convinta di ognuno/a di noi. E non solamente a parole.
Il rifiuto di ogni forma di razzismo dovrebbe nascere dalla nostra abitudine a considerare il positivo di ogni persona e cultura.
La coscienza che ogni nostra ricchezza ha un suo risvolto sociale, dovrebbe spingerci a considerare la necessità che ogni persona nel mondo abbia di che vivere e di che vestire.
Immaginate cosa accadrà quando, con questa nostra metodologia di pace, qualcuno/a o molti/e sceglieranno di entrare nel mondo politico o in quello economico. O nel mondo dei fautori della pace.
2] Pertanto dobbiamo affinare la metodologia per cancellare le conflittualità.
Purtroppo, nel lavoro di pace con molta frequenza si incontra gente che crede di costruire la pace distribuendo giudizi di condanna. Quante volte ci troviamo in raduni e sentiamo imprecazioni e condanne contro coloro che sono ritenuti artefici di cattva politica o cattiva economia. Anche qualora si dicessero cose vere, il “giudizio di condanna” allontanerebbe per sempre il discorso di pace perché allontanerebbe le persone che intendiamo coinvolgere. Personalmente ho visto troppi pacifisti con l’odio negli occhi e nel cuore. Dobbiamo cancellare questo modo di far pace e risolvere i conflitti. Sarebbe sempre la vittoria del più forte.
3] Tutto questo discorso, tuttavia, non è da confondere con la debolezza. Il sentimento e la metodologia di pace usati, non significano debolezza.
Anzi suppongono forza.
Se vogliamo giungere ad una civiltà di pace, dobbiamo imparare ad usare il metodo della nonviolenza che presuppone un sano concetto di forza.
Solo chi è forte può permettersi di essere nonviolento.
Se riusciremo a comprendere che alla base di ogni operazione di pace c’è il metodo della nonviolenza e che alla base del metodo nonviolento c’è il concetto di forza, molta gente si convertirà alla pace perché comincerà a capire cosa sia veramente la pace. Che non è utopia, ma strada nuova che la Provvidenza ci pone davanti perché, dopo tante esperienze negative, la si possa percorrere.
E qui entriamo nella concretezza.
Quando ci si accorgerà che parliamo di cose concrete e che concretamente stiamo attivando una civiltà di pace (quella società che, con linguaggio religioso, è detta Regno di Dio), allora molti verranno.
Ma vorranno vedere che le cose funzionano.
E Dio vi benedica.
Fr. GianMaria Polidoro
03 giugno 2006