DONNE OPERATRICI DI PACE di M.R. Girotti

Donne, operatrici di pace
Maria Rosina Girotti *

Note di speranza e di coraggio

In un clima di grande partecipazione e profonda condivisione si è tenuta dal 17 al 25 maggio scorso nel campus della University of The West Indies di Kingston, capitale della Giamaica, la International Ecumenical Peace Convocation (IEPC) su Gloria a Dio e pace sulla terra. La Convocazione, promossa dal Consiglio ecumenico delle chiese (CEC), ha visto la presenza di circa un migliaio di partecipanti da tutti i continenti, da più di cento paesi. Era presente anche una delegazione vaticana guidata dal vescovo di Verapaz, Guatemala, monsignor Rodolfo Valenzuela Nuñez. Numerose le donne pastore e ministri delle varie chiese.
Quattro sono state le tematiche affrontate, sulle quali da tempo le chiese e i movimenti di pace riflettevano in preparazione alla convocazione: pace nella comunità, pace con la terra, pace nel mercato e pace fra i popoli.
Dai gruppi di riflessione biblica, dalle relazioni nelle plenarie, dagli interventi e dai numerosissimi workshop – le varie modalità di lavoro in cui le giornate erano organizzate – è emerso in tutta evidenza un filone che chiamerei “donne e pace”, trasversale ai quattro temi al centro delle discussioni sulla pace. Quasi a sottolineare che non si dà pace, così declinata, senza la voce delle donne. Che sono ancora vittime in tante parti del mondo: vittime di guerra, di abusi sessuali, di sfruttamento, di discriminazione razziale, di emarginazione sociale, di violenza domestica. Donne violate e uccise nella regione dei Grandi Laghi in Africa, ma anche in Colombia, in Palestina, in India. In vari interventi le donne hanno denunciato le tante situazioni di ingiustizia e di violenza, i soprusi subiti, la negazione dei diritti, la negazione di ogni possibilità di affermazione. Non sorprende comunque che proprio dalle donne, coloro che generano la vita, si siano alzate note di speranza e di coraggio per tessere nelle comunità, nel mercato, fra le etnie e i popoli nonché con la terra, relazioni di pace e di giustizia, un binomio inscindibile. Già rompere il silenzio è un inizio. Unire le voci è trovare forza e coraggio. Quella forza e speranza che una “Dalit”, un’intoccabile e per di più diversamente abile, ha comunicato dalla sua sedia a rotelle a tutta l’assemblea, raccontando la sua storia di emarginazione, di negazione di ogni umanità e poi di riscatto in un’India ancora divisa in caste.
Tanti sono stati gli scenari di guerra e di conflitto portati all’attenzione dei partecipanti, compresi quelli relativi alle persecuzioni dei cristiani in Egitto, Pakistan e altri paesi. La pace giusta, come è stata qui definita, in contrapposizione a quella che spesso si definiva guerra giusta, è tutta da costruire. Proprio da questo fronte sono giunte testimonianze dell’azione delle donne. Ne vorrei citare alcune. A partire da un filmato proiettato la seconda serata, Pray the Devil Back to Hell (lett. Prega che il diavolo torni all’inferno). Racconta la storia esemplare delle donne della Liberia che, unite e determinate, hanno fatto sì che si ponesse fine ad una sanguinosa guerra civile e si riportasse la pace nel paese ridotto allo sfascio. Migliaia di donne di differenti età, nonne, zie, madri, figlie, cristiane e musulmane, hanno pregato insieme per la pace e hanno manifestato in silenzio fuori dal palazzo del Parlamento. Le loro uniche armi erano una T-shirt bianca e il coraggio delle loro convinzioni. Le trattative di pace erano giunte ad una fase di stallo totale e solo la loro azione decisiva ha potuto innescarne lo sblocco. Il filmato non solo ha reso onore alla forza e alla perseveranza delle donne liberiane, ma ha restituito una avvincente testimonianza dell’azione dell’attivismo di base che è capace di cambiare la storia di un paese. Già nel 1994, durante una delle ore più nere della guerra civile, una donna in particolare, Etweda “Sugars” Cooper, insieme ad altre donne, stanche di essere prese in giro vista la farsa delle trattative di pace, aveva fondato il movimento chiamato Liberia Women’s Iniziative con obiettivi ben precisi: sostenere il disarmo, indire libere e trasparenti elezioni politiche, includere le donne nei negoziati di pace per la risoluzione dei conflitti. Durante i quattordici anni della guerra civile, Etweda ha fatto leva su un’azione di massa nonviolenta mobilitando le donne, quelle comuni come le professioniste, per attirare l’attenzione del mondo sulla condizione delle donne e dei bambini e fare pressione sulla comunità internazionale per far cessare la guerra. Instancabile e decisa, si è recata dai leader delle diverse fazioni politiche, ha dialogato con loro, li ha scongiurati di trovare una via d’uscita all’impasse a cui erano giunti i colloqui di pace di Accra del 2003, ha chiesto il cessate il fuoco e la costituzione di un governo di transizione.
Dal 2006 il presidente in carica della Liberia è una donna, Ellen Johnson Sirelaf, la prima donna eletta in tutto il continente africano.
Anche dal Libano è giunta un’altra esperienza di donne operatrici di pace presentata durante un workshop. Pure qui molto lavoro di ricostruzione del paese, sconquassato dalla guerra, è stato ed è tuttora portato avanti dalle donne delle diverse denominazioni cristiane – cattolici romani, maroniti, cattolici di rito greco, armeni copti – e dalle donne musulmane che, insieme, hanno trovato unità di intenti e di azione. “L’ecumenismo ha unito le donne cristiane. Il dialogo interreligioso ha unito le donne cristiane e le donne musulmane” ha detto Maha Milki Wehbe, la presentatrice del workshop. Si sono poste alcune domande: come possono le donne partecipare alla vita della chiesa e della società? Come incoraggiare le chiese a educare all’uguaglianza, a combattere il silenzio, a perseguire la pace e la giustizia? Come incoraggiare le donne a intraprendere studi teologici sulla pace e la giustizia?

Lo sguardo delle donne ha posto l’accento sul ruolo delle chiese nel coinvolgerle quali agenti di cambiamento e di pace. Il ruolo delle donne è fondamentale nelle zone di conflitto, prima e dopo. Dopo: devono partecipare più numerose ai tavoli della pace, loro che sono vittime costanti di violenza sono presenti per meno del 10% alle trattative di pace. E devono essere coinvolte nella ricostruzione. Prima: esse hanno una maggiore sensibilità nel captare e cogliere i segnali di conflittualità e possono quindi aiutare a prevenire le guerre. Perché non chiedere loro quello che sta succedendo? E quali soluzioni possono prospettare prima e dopo?
Esse hanno reclamato posizioni chiave nei luoghi dove vengono prese le decisioni. Ma è stato anche sottolineato che non è comunque scontato che dal passare alle donne si risolvono i problemi, si cambi il mondo. Si dà cambiamento con la collaborazione di entrambi, uomini e donne. Ma dove le donne sono sottomesse, emarginate, dove la loro cultura le obbliga al silenzio, a “guardare in basso, a non alzare mai gli occhi” come ha detto una relatrice, “la decisione di alzare gli occhi all’università” ha cambiato lo sguardo sulle cose e l’ha fatta camminare a testa alta. Ad affermare che le donne devono fare un balzo di parità per poter interagire nella società.

Parlando, ascoltando le tante testimonianze, condividendo pensieri e riflessioni, confrontandosi con culture diverse sono apparsi tanti scenari, sono affiorate tante voci di speranza, si sono aperte possibilità di trasformazione e prospettive di azione. Educare e responsabilizzare, educare alla pace, coinvolgere le donne nella vita delle chiese e della società, dialogare fra le chiese e dialogare con le altre fedi: queste sono le sfide poste sul cammino verso la “pace giusta”, una pace che abbraccia la giustizia. E nella preghiera, perché la spiritualità, comune alle varie religioni, è una delle forze che danno consistenza alle società con la capacità di cambiare il mondo. Come ha detto Sr Ernestina Lopez Bac del Guatemala, studiosa di teologia e spiritualità indigena, occorre “ritrovare il profumo dell’umanità” e “orientare le relazioni in armonia con le persone e la creazione”. Povertà, razzismo, militarismo, violenze e discriminazioni spezzano l’armonia della creazione. A noi il compito di ripristinarla. A noi donne la nostra parte.

* aderente CIF Bologna, consigliera di Assisi Pax International